La ricetta Coca-Cola Journey, tra good news e coinvolgimento

Nel mondo succedono anche cose belle. Sui media generalisti lo leggiamo di rado, spesso non ce ne accorgiamo nemmeno, presi dalle ultime sulla crisi, i licenziamenti o la politica. Ecco, alla Coca-Cola sanno che quella delle good news è, sostanzialmente, una zona franca nel mondo dell’informazione. E, dopo la campagna pubblicitaria sulle Good things in the world, anche la linea editoriale del “Coca-Cola Journey”, di cui avevamo già parlato qui, risente di questa impostazione.

Cosa succede, dunque? Succede che sul magazine di Coca-Cola l’interesse preponderante è per storie positive, edificanti, che possano contenere un qualche tipo di morale. Non c’è bisogno che l’azienda ne sia direttamente protagonista, basta che, in un modo o nell’altro, compaia all’interno del racconto. E’ questo il motivo di differenziazione più grande del “Coca-Cola Journey”: si parla di tutto, ma con un approccio positivo, rassicurante.

C’è, ad esempio, la storia di Jason Pate, giovane ragazzo indiano che, a 25 anni, si ritrova ad essere proprietario di un florido ristorante etnico a San Francisco, in barba a crisi e disoccupazione giovanile. E l’azienda? Beh, il ragazzo ha beneficiato, per gli studi al college, di una borsa di studio targata Coca-Cola. Ecco il marchio, che però non è invasivo e, per questo motivo, l’articolo non ha i tratti dello slogan pubblicitario, nè dell’autocelebrazione. Il focus è la capacità di venir fuori in un contesto di crisi economica. Ma tra quelli che ce l’hanno fatta chi va scelto? Ovvio, qualcuno che in qualche modo sia legato all’azienda.

Così tutte le altre storie, che riguardino queste lo sport, la tecnologia o la salute, hanno questo mix di elementi caratterizzante. In primo luogo, sono racconti positivi, che possono dare speranza: esemplari, in qualche modo. Poi, visto che sempre di brand journalism si tratta, hanno al loro interno, ma quasi mai da protagonista, il marchio Coca-Cola.

Perchè quasi mai? Perchè il Journey non si limita solo a raccontare storie, ma crea – rafforza – una comunità, invita i consumatori a partecipare. In questo caso, l’azienda diventa il centro della questione. L’esempio più recente riguarda la campagna pubblicitaria lanciata dal colosso di Atlanta per sensibilizzare le persone sui rischi dell’obesità. Bene, nella homepage del sito potete trovare un sondaggio, all’interno del quale viene richiesta l’opinione degli utenti, che possono valutare la potenziale efficacia degli spot. Una sorta di referendum, in cui, di fatto, ci si rimette al giudizio dei consumatori.

E allora ecco la ricetta Coca-Cola in fatto di brand journalism. Primo, una linea editoriale chiara, ben definita, che rispecchi coerentemente il modo con cui l’azienda comunica verso l’esterno. Secondo, una presenza del marchio non invasiva all’interno delle storie che vengono raccontate. Terzo, coinvolgere gli utenti, sempre e comunque, anche attraverso sondaggi che possano addirittura mettere in discussione lo stesso operato della casa madre.

 

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