Native Advertising
Il native advertising è una strategia di promozione dei contenuti pubblicitari volta a superare la cosiddetta banner blindness, la dinamica di rete che porta la maggior parte degli utenti a ignorare la quasi totalità degli annunci pubblicitari online di stampo “tradizionale”. Il native advertising incornicia in una struttura fruibile e gradevole dei messaggi pubblicitari, i quali vengono ospitati da un prodotto editoriale preesistente che stabilisce la forma e la sostanza del contenuto da promuovere.
L’idea di fondo è quella di non far percepire al lettore lo stacco, spesso invadente e fastidioso, tra messaggio promozionale e contesto editoriale. Difatti, l’advertising si inserisce in questo contesto adattandosi allo stile e al formato della testata ospitante, per fornire ai lettori un contenuto che ha più le sembianze di un prodotto del giornale che non di quello di un brand. Ovviamente la piena trasparenza della natura commerciale del contenuto fa sì che non vi siano rischi di incomprensione o manipolazione del messaggio stesso. Si conosce l’inserzionista perché non solo la testata lo annuncia apertamente ma è anche indicato, volta per volta, nei contenuti pubblicitari. Sta all’abilità di advertiser e giornali capire come non interrompere la navigazione abituale del lettore, fornendo servizi e informazioni utili anziché pubblicità intrusive.
I contenuti vengono pensati dal brand e scritti da un team redazionale creato ad hoc dalla testata? I contenuti vengono sia pensati che elaborati dall’azienda e poi semplicemente ospitati dal giornale? Sono gli stessi contenuti ad ospitare il prodotto editoriale? Insomma, rispondere a queste domande significa scegliere la strategia ideale per il proprio marchio, cercando di valutare a monte una serie di variabili che poi determinano l’efficacia della strategia stessa. In primis, chi si occuperà della realizzazione dei contenuti. In secundis, il grado di pervasività dell’inserzione, che può essere tanto inserita in un’apposita sezione del sito quanto veicolata sul sito della testata come fosse un articolo qualunque.
NATIVE ADV: ESPERIENZE DI MADE IN ITALY
A maggio di quest’anno Fanpage ha sdoganato i branded content all’interno della propria piattaforma, accogliendo calorosamente Msc Crociere tra le sue pagine online. Una squadra addetta alla produzione di questi contenuti specifici ha elaborato una serie di articoli volti a raggiungere il seguente obiettivo: promuovere la compagnia di navigazione, fornendo al contempo contenuti interessanti ad un target specifico di utenti. Senza, ovviamente, peggiorarne l’esperienza di lettura.
Per approfondire: Msc Crociere “sbarca” su Fanpage
Altro esperimento interessante era stato quello di My Way, l’esperimento di native advertising di Autostrade per l’Italia che ha inserito una rubrica di informazioni sul traffico all’interno della piattaforma televisiva di Sky Meteo 24. La logica? Essenziale ed efficace al contempo: chi affronta un viaggio, ludico o lavorativo, e si sta documentando sulle condizioni climatiche del luogo di partenza e del luogo d’arrivo, probabilmente sarà anche interessato alle condizioni del traffico. E qui entra in gioco My Way, che interviene su un segmento di telespettatori predisposti, a livello cognitivo, a quel tipo di informazione. Il contenuto commerciale giusto al momento giusto. Questa la ricetta vincente.
Come abbiamo visto dalla sola esperienza italiana, il native advertising può assumere molteplici forme. Dal caso Msc Crociere, in cui una compagnia di navigazione produce contenuti testuali e li inserisce in un giornale online, al caso My Way, in cui una rubrica di informazione si inserisce nel flusso televisivo. Le piattaforme disponibili sono molte, le possibilità di promozione ancora di più. Basta giocare con la creatività, e si aprono margini di manovra per promuovere contenuti commerciali in un modo completamente nuovo. Che frutta economicamente ad ambo le parti, che non risulta invadente per il target di riferimento, che fornisce un contenuto utile a internati e telespettatori.
Con MultiMag, il magazine multimediale realizzato da Condé Nast e Manzoni e distribuito sui siti web dei loro network, la logica viene addirittura invertita. In questo caso è il prodotto di stampo editoriale ad essere ospitato dal native advertising, perché MultiMag è concepito in prima istanza per compiacere gli inserzionisti di turno e, solo successivamente, per realizzare tali inserzioni con un know-how editoriale che rende possibile sia creare contenuti di qualità sia distribuirli sui siti web dei loro network. Il native advertising non è, dunque, ospite in casa d’altri bensì padrone in casa propria.
OLTRE LA MANICA E L’ATLANTICO: IL NATIVE ADV ANGLOSASSONE
Stati Uniti e Gran Bretagna, si sa, nel campo del marketing e del giornalismo sono notoriamente qualche anno avanti. Rispetto all’Italia e rispetto al resto del mondo in generale. Quando si tratta di sperimentare nuovi modelli commerciali ed editoriali, i Paesi anglosassoni sono spesso gli apripista. E anche nel campo del native advertising è stato così. Per superare la banner blindness che ha caratterizzato parte dell’approccio di molte aziende al mondo digitale, queste realtà editoriali hanno reinventato il concetto di pubblicità, creando storie sponsorizzate stimolanti per i lettori. Senza infastidirli.
BuzzFeed, Huffington Post US e Forbes hanno aperto le danze. Il primo, ospitando branded content prodotti dalle stesse aziende che la piattaforma editoriale voleva promuovere. Il secondo, producendo da sé gli articoli sponsorizzati col beneplacito delle imprese pubblicizzate. Il terzo, con una formula più “aggressiva”, ha creato una sezione apposita – BrandVoice – volta ad ospitare sul proprio sito i branded content.
Poi è stata la volta del New York Times e del Guardian, che forti della propria autorevolezza internazionale hanno potuto ingolosire i brand di tutto il mondo garantendo un ritorno d’immagine assicurato. Una strategia necessaria per aumentare le entrate pubblicitarie, pur separando nettamente il lavoro redazionale da quello pubblicitario, per garantire quella patina di credibilità che rende, nei rispettivi Paesi d’origine, queste due testate casi più unici che rari.
Per approfondire: GuardianLabs, la piattaforma che ospita i brand