Perché Facebook non censurerà mai le bufale
di Francesco Marino e Nicola Zamperini
No, Mark Zuckerberg non controllerà Facebook per fare in modo che le bufale vengano del tutto eliminate. Né, nonostante le ardite ricostruzioni di molti media italiani e non, censurerà (se non limitatamente e per casi macroscopici) né cercherà di eliminare la democrazia così come la conosciamo. Gli scenari post-apocalittici che qualcuno ha prospettato non si verificheranno.
Insomma, la vittoria di Trump alle elezioni non avrà altre conseguenze.
Una conclusione a cui si può arrivare partendo da lontano. Proviamo a fare un po’ d’ordine, riavvolgendo il nastro.
Il 2016 è stato l’anno della post truth, la post verità. Ne è convinto l’Oxford Dictionaries, che l’ha eletta parola dell’anno. L’aggettivo, spiegano gli editori, si riferisce o denota circostanze in cui i fatti obiettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica degli appelli emotivi e delle convinzioni personali.
Ed è stata proprio la post verità, declinata sul web, che, secondo molti osservatori, ha portato alla vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi.
Ricapitoliamo la tesi dell’accusa.
La diffusione di bufale create ad arte, su Facebook in particolare, avrebbe influenzato i cittadini, portandoli a votare sulla base di informazioni sbagliate (una su tutte, l’endorsement di Papa Francesco per Trump).
Mark Zuckerberg si è difeso in un lungo post, in cui afferma che “il 99% delle storie su Facebook sono vere” e che “è difficile eliminare del tutto i contenuti falsi, anche perché esistono diverse sfumature di verità”. Tradotto: non è colpa nostra. Una tesi, secondo quanto rivelato da BuzzFeed, che non ha convinto del tutto nemmeno i dipendenti di Menlo Park che, si legge sul magazine di Peretti, sarebbero intenzionati a prendere di petto il problema per trovare una soluzione (ma non si è capito come).
I want to share some thoughts on Facebook and the election.
Our goal is to give every person a voice. We believe deeply…
Pubblicato da Mark Zuckerberg su Sabato 12 novembre 2016
Dopo qualche giorno, in realtà, qualcosa si è mosso. Prima, Google ha annunciato che eliminerà dal suo circuito pubblicitario (AdSense, per intenderci) chi diffonde bufale. Poi, Facebook ha aggiornato la sua policy relativa all’Audience Network, aggiungendo alle pagine delle quali non viene mostrata pubblicità quelle che pubblicano notizie false.
Basterà? Qualcuno, in verità, chiede un controllo ancora più serrato, altri, invece, invocano una malcelata (e parodistica) volontà di Zuckerberg di ergersi a padrone del mondo, eliminando partiti e parlamenti attraverso il controllo ci ciò che vediamo sulla nostra home di Facebook.
E qui si ritorna alla tesi precedente. Niente di tutto questo accadrà: la cosa più probabile è che tutto rimarrà esattamente com’è adesso. Proviamo a capire perché.
Primo punto: a Mark Zuckerberg non interessa essere il padrone del mondo, eliminare partiti e parlamenti e nulla di questo genere. Gli interessano, più di tutto, guadagnare attraverso Facebook e raccogliere sempre più dati, includendo persone e non tendendo a escluderne.
E qui arriviamo al secondo punto. La storia delle bufale, per Mark, è più di tutto un fastidio, una gatta da pelare. E lo è soprattutto perché il controllo umano, su Facebook, sarebbe l’unica alternativa credibile, al momento, per individuare le notizie false. Peccato che a giugno il personale di Meno Park che funzionava da filtro umano delle informazioni da far confluire sul canale Trending Topic fu accusato dai conservatori di avere un pregiudizio a favore dei democratici. Insomma, gli amministratori sceglievano soprattutto storie che piacevano ai liberal. Uno scandalo che ha spinto Facebook alla decisione di fare affidamento solo sugli algoritmi.
Eccoci al terzo punto. Gli algoritmi sono in grado di controllare, qualitativamente, i contenuti postati su Facebook? Al momento è una pretesa enorme. Perché parliamo di sfumature.
Qual è il confine tra propaganda e notizia falsa? Tra opinione e bufala? E dove si verificano le fonti?
In questo contesto, sono solo due le soluzioni, entrambe difficili da applicare. Immaginare un sistema di segnalazioni, che però andrebbero comunque verificate da un team umano. Oppure, creare un rank di attendibilità, un punteggio che andrebbe a valutare la ‘propensione’ di quella determinata testata a produrre informazioni veritiere e verificate. Ma anche qui: chi stabilisce il punteggio?
Risultato, almeno nel breve: le bufale resteranno, trovando forse un altro modo di guadagnare con la pubblicità.
È il web, bellezza.