L’Overbooking e i “cieli poco amici” della United
di Stefano Silvestre
C’era una volta una delle più grandi compagnie aeree del mondo. La più grande in termini di passeggeri, la migliore per innovazione, per l’immagine e la più potente in termini di acquisizioni commerciali.
C’era una volta la major che faceva del concetto di “amicizia” uno dei claim pubblicitari più riusciti del settore aerospaziale: amicizia intesa come accoglienza a bordo, come attitudine al volo e come capacità di assecondare i bisogni dei passeggeri nell’era dell’evoluzione tecnologica e dell’intrattenimento in volo.
In questi giorni, è ormai noto a tutti, il famoso slogan della United Airlines “Come Fly the Friendly Skies”, è finito coperto di sangue e trascinato per mani e piedi sulla moquette del corridoio di un Embraer 170 in partenza da Chicago per Louisville.
La causa?
Uno degli eventi più sfortunati (per il passeggero), forse rari e certamente più tollerati del trasporto aereo: l’overbooking.
Il video lo potete rivedere più in basso, è stato ripreso domenica 9 aprile con gli smartphone dei passeggeri del volo 3411, che sembrano sconcertati di fronte alla scena. Il volo, per dirla tutta, non era gestito direttamente dalla United, ma era operato dalla Republic Airline, compagnia che da anni opera su base regionale per conto di varie Major statunitensi e che nel caso del video diventato virale volava sotto il brand United Express, la diramazione regionale dell’omonima compagnia aerea.
Dettaglio importante, ma le scuse per la United si fermano qui.
Il resto della vicenda è un mix di errori di interpretazione e di comunicazione commessi ancora prima che la sicurezza aeroportuale arrivasse a risolvere con mezzi forti una situazione che in gergo aeronautico è definita “Unruly Passenger”, in pratica un contesto in cui comportamento di un determinato passeggero mette potenzialmente a rischio la sicurezza stessa del trasporto.
Quel disastro di comunicazione (e di relazione con i clienti) non sarebbe mai dovuto accadere per una serie di motivi.
Il primo è che non esiste una sola regola da adottare in caso di overbooking: le norme dicono che i passeggeri che lasciano volontariamente l’aereo hanno diritto a un risarcimento e non possono essere obbligati ad abbandonare il velivolo in nessun caso. Quando capita, si va avanti con le contrattazioni e ormai da tempo la soluzione adottata da tutti i vettori in caso di overbooking è la lotteria tra i passeggeri, una possibilità studiata già una trentina d’anni fa dal professor Julian Simon dell’Università del Maryland.
È molto semplice: il comandante dell’aereo batte una sorta di asta per chi accetta di lasciare l’aereo per cui sono state accolte prenotazioni in surplus. Si parte da 250 dollari e di solito si arriva anche a 1.000 dollari e anche più. Il concetto, iper mercantile se volete, è che tutti hanno un prezzo: di solito qualcuno accetta e tutto finisce con una stretta di mano, un cambio di programma, un po’ di soldi in più in tasca e uno champagne offerto dalla casa.
Stavolta no.
Come osservato dall’analista economico Stephen Moore, la policy della United fissa a 800 dollari il tetto massimo di compensazione per i passeggeri che scelgono di abbandonare volontariamente il volo in overbooking. Il passeggero del volo 3411, che non voleva scendere perché era un medico e ha affermato di avere in programma delle visite per il giorno successivo, non ha accettato la compensazione.
Per qualche centinaio di dollari di differenza, la United ha quindi perso molto di più di un semplice passeggero.
L’aggressione a bordo di un suo velivolo ha terrorizzato i frequent flyer statunitensi e internazionali, la fetta più remunerativa di passeggeri nel mercato americano.
A tre giorni di distanza dai fatti la notizia è poi arrivata anche in Cina, il paese di origine del passeggero allontanato dal volo. In poche ore è stato aperto un topic su Sina Weibo che ha raccolto 97mila commenti. Il tutto mentre sul popolare servizio di messaging WeChat iniziava a girare anche una petizione per boicottare la United. Di certo non la migliore pubblicità nel periodo storico di massima tensione commerciale sulle rotte Cina-Stati Uniti, il mercato d’oro che secondo le stime della IATA coprirà circa un quinto dell’intero trasporto globale passeggeri da qui a 18 anni.
Insomma, la storia è stata un colpo alla brand reputation della compagnia, una credibilità costruita per anni sul concetto di “amicizia” finita nel calderone della trivialità tra i meme e le vignette (in basso) che girano in queste ore e che, sul piano puramente economico, ha pure fatto perdere al titolo della United decine di milioni di dollari in borsa in poche ore.
Il peggio è poi arrivato dall’interno della Compagnia, in termini di comunicazione di crisi.
La United era semplicemente impreparata. Non è chiaro in quale momento esatto dell’incidente sia arrivata la notizia nei piani di alti della Willis Tower, quartier generale della major che si trova a qualche chilometro di distanza dall’aeroporto in cui è avvenuto il pasticcio dell’overbooking.
Quello che sappiamo è che l’unico significativo output comunicativo è arrivato da una lettera del CEO Oscar Munoz, un autentico esercizio di stile per il caos comunicativo. Munoz si è dapprima cosparso il capo di cenere per la figuraccia, poi ha difeso l’operato del suo staff prima di liquidare l’episodio con il termine “re-accomodation” (non proprio il massimo in termini di semantica) e promettere la canonica inchiesta interna sull’accaduto. Alla fine, quattro giorni dopo la vicenda, ha deciso di rimborsare il biglietto a tutti i passeggeri di quel volo. In pratica durante la crisi il suo staff si è limitato a osservare il video e i suoi numeri in costante aumento, per ben 72 ore, prima di procedere a un’azione concreta.
Non solo non basta, è pure sbagliato.
Mancano parecchi passaggi per definire la strategia della United una reale “comunicazione di crisi”. L’impressione è che alla United non abbiano proprio capito di essere di fronte a una crisi. Avranno pensato all’ennesimo complain di un cliente che è diventato solo un po’ più conosciuto grazie a Youtube. Per questo se ne sono usciti con un comunicato stampa e basta. Come se davvero bastasse un comunicato stampa di scuse di fronte a una valanga planetaria di commenti negativi su ogni social network possibile e immaginabile.
Non aver capito che era una crisi vera e propria, potrebbe spiegare perché United non ha fornito una ragione valida dei motivi che hanno portato lo staff della sicurezza aeroportuale a bordo dell’aeromobile.
Non si capisce perché nessuno è arrivato dall’aeroporto a scegliere la soluzione migliore per tutti.
Non è dato sapere come la situazione sia precipitata al punto di contattare la sicurezza aeroportuale.
Mancano parecchie informazioni. E dove sono state fornite, sono superflue e deleterie.
La notizia di un overbooking gestito male (e non il pestaggio di un passeggero), come per la maggioranza dei 40.000 casi analoghi registrati solo nel 2016 negli USA, andava risolta in un altro modo, andava gestita all’interno dell’aereo.
Continueremo a seguire la vicenda. E nei prossimi giorni cercheremo di capire se e come United ha pensato di recuperare una situazione che si fa ora dopo ora sempre più complicata. Al momento il video è stato visto da almeno 5 milioni di persone su Youtube. E come l’ultimo degli stagisti sa bene, non esiste una formula per la viralità, non si crea in laboratorio, ma una volta che un contenuto diventa virale in un determinato ambiente digitale è difficile fermarne la propagazione.
E in questo caso l’ambiente è il trasporto aereo passeggeri globale.
Auguri!