Intervista a Michael Brenner su Forbes. Il brand journalism di ieri, oggi e domani

Daniel Newman ha di recente intervistato sulle pagine di Forbes una voce autorevole del nostro universo di riferimento: Michael Brenner. Il content marketer ha lavorato per anni alla direzione della content & digital strategy di SAP AG – multinazionale europea specializzata nella produzione di software –, e attualmente è il presentatore del Content Marketing World, la più grande manifestazione sul tema del globo che si tiene a cadenza annuale. L’esperto, incalzato sul futuro del content marketing, ha focalizzato la sua riflessione sul player che più di tutti sta rivoluzionando la comunicazione delle aziende: il brand journalism.

PRIMA L’UTENTE, POI IL BRAND

Il brand journalism è quando un brand diventa la piattaforma di contenuti di qualità creati per l’utente, non per il brand stesso

Non c’è promozione o pubblicità ingannevole, dunque. Bando all’autoreferenzialità, lunga vita ai contenuti tarati in funzione del pubblico (o meglio, dei pubblici) che si ha intenzione di colpire e catturare nella propria rete. Prima si fornisce l’informazione essenziale, il contenuto interessante, la storia coinvolgente. Poi, in caso, si ricorda al cliente che a produrre quel contenuto è stato proprio il brand a cui si potrebbe rivolgere in futuro. Un esempio su tutti: nel corso di una campagna efficace è possibile che venga omesso del tutto il logo dell’azienda protagonista della stessa campagna. E questo dà la dimensione, forte, di quanto l’utente abbia tutta un’altra centralità rispetto al brand.

IL DNA DEL GIORNALISTA

C’è un grande dibattito su chi ritiene il brand journalism un ossimoro, ma non lo è

Perché nella visione di Brenner, cos’è il giornalismo? Quell’opera di ingegno collettivo basata sull’abilità, l’esperienza e il desiderio di raccontare storie e creare contenuti di qualità che incontrino gli interessi dei consumatori. Non importanza se essi siano lettori o clienti, sempre consumatori rimarranno, ovvero persone cui fornire contenuti verosimilmente in linea col loro sistema di valori e i loro interessi. E non importa neanche chi paga il giornalista, e se dunque dietro quell’opera vi sia il portafoglio di un’impresa editoriale o di una commerciale. Si tratta di applicare alla comunicazione aziendale le logiche proprie, naturali, dell’essere giornalista.

 EDITORI DI SE STESSI

Le linee di confine tra advertising e giornalismo sono sfumate. Ora i brand possono andare direttamente al consumatore

E qui cade l’essenza stessa del brand journalism: bypassare il sistema dei media tradizionali per fornire la propria visione del mondo, il proprio punto di vista. E non quello degli old player del sistema dell’informazione. Il brand non solo diviene così publisher di se stesso, ma propone un modello di comunicazione aziendale che sembra meno il prosieguo dell’advertising e più la naturale evoluzione del panorama mediale. In termini di brand awareness, i vantaggi sono immensi: si tratta di essere percepiti dagli utenti – ovvero dai clienti del domani – come fonte autorevole di informazione e contenuti, e non come semplice veicolo di spam e pubblicità.

 QUALI PROSPETTIVE PER IL DOMANI

Un’indicazione per il futuro? Non ho abbastanza talento per vedere dietro l’angolo. Ma i 3 elementi chiave per il domani sembrano questi: intrattenimento, coinvolgimento emotivo, contenuti visuali

Brenner, contraddistinto da un’innegabile modestia, offre comunque qualche prospettiva per il futuro del content marketing. I brand, tutti i brand, sembrano gradualmente rivolgersi sempre di più alla realizzazione di contenuti più soft, più rivolti all’entertaining che all’information. Curiosità, chicche dal mondo, stravaganze, storie spettacolari. Possibilmente in grado di far piangere, ridere, emozionare. Magari nella giusta cornice audiovisiva, che nella società dell’homo videns non può che avere un’efficacia maggiore rispetto al semplice testuale. Perché un utente toccato nelle corde giuste è un utente maggiormente predisposto a reazioni emotive, anche in fase di acquisto. Contenuti interessati, dunque, ma anche contenuti utili, pragmatici a loro modo: liste, how to, what is e tutte formule riepilogative che cercano di spiegare all’utente qualcosa in modo semplice e comprensibile.

Concludendo, il brand journalist perfetto è fonte autorevole ma anche confidente privilegiato, storyteller ma anche comico, scrittore ma anche produttore cinematografico. Tutto questo, tutto insieme.

Un pensiero riguardo “Intervista a Michael Brenner su Forbes. Il brand journalism di ieri, oggi e domani

I commenti sono chiusi