Senza le persone Facebook non vale nulla

Facebook sta costruendo un ecosistema chiuso sempre più saturo di brand e advertising. Il rischio è che venga meno la mission originale, connettere le persone.

 

di Alessandro Benigni

Kolmanscop, Namibia. 1908. Un operaio, Zacharias Lewala, scopre casualmente un diamante in quella zona. La Germania, potenza colonizzatrice, non rimane a guardare e, intuito il business, avvia una mastodontica operazione di sfruttamento dell’area. I tedeschi costruiscono una vera e propria città, del tutto autosufficiente, a cui non manca nulla: scuola, ospedale, teatro e chi più ne ha più ne metta. Le estrazioni minerarie prosperano, tutti sembrano felici e contenti. Poi, all’improvviso, viene a mancare la materia prima: i diamanti. Il motivo per cui quella città era sorta. Chi prima chi dopo, scappano tutti. Siamo nel 1954. Kolmonscop diventa una ghost town, il deserto comincia a riprendersi ciò che era suo.

Harvard, Stati Uniti. 2004. Uno studente, Mark Zuckerberg, inventa una piattaforma per connettere tra loro i colleghi universitari. Il servizio di rete sociale, chiamato Facebook, si rivela un successo. Viene esteso prima ad altre università, poi alle scuole, infine a tutti. “Facebook aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita”, questa la mission della creatura di Zuckerberg. Che in breve tempo diventa il secondo sito più visitato al mondo dopo Google. Un servizio gratuito, che in realtà nasconde un business potenzialmente enorme, basato sui Big Data delle persone iscritte. Facebook costruisce rapidamente un universo a sé, fatto di nuove funzionalità, applicazioni e tanti servizi aggiuntivi. Su Facebook trovi tutto quello che ti serve. Ma se scomparissero le persone?

 LE CONDIVISIONI PERSONALI SU FACEBOOK SONO IN CALO

Già, le persone. A prima vista, sembrerebbero essere l’ultimo dei problemi per Facebook. Oltre un miliardo e mezzo d’iscritti al social network, un miliardo di account su Whatsapp, più di 900 milioni di utenti su Facebook Messenger e quasi mezzo miliardo di user su Instagram. Numeri da capogiro, che fanno pensare a un futuro sempre più roseo per il colosso di Menlo Park.

 

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Va tutto per il meglio, dunque? Niente affatto. C’è un “però” che rischia di fare crollare tutto il castello. Secondo un report pubblicato da The Information, infatti, nel 2015 la condivisione di fatti personali su Facebook è diminuta del 21% rispetto all’anno precedente. In altre parole, gli utenti stanno pubblicando meno cose che li riguardano da vicino. In una piattaforma sempre più grande, impersonale e professionale, le persone non si sentono più a casa. E tendono a raccontare più difficilmente i fatti propri.

 

FACEBOOK: SEMPRE PIU’ BRAND, SEMPRE MENO PERSONE

Come si è arrivati a questa situazione? Se prima l’attenzione di Facebook era concentrata sui bisogni dell’utente, adesso tutti gli sforzi vanno verso la monetizzazione del social network. L’advertising è il core business del colosso di Menlo Park e i contenuti, sponsorizzati o meno, di brand e aziende, hanno letteralmente invaso i nostri news feed. Come si dice da qualche parte, pago quindi pretendo. E più gli inserzionisti pagano per gli annunci, più pretendono che i post sponsorizzati compaiano nei news feed delle persone. Il numero di chi investe in advertising su Facebook aumenta, mentre le bacheche degli utenti sono una risorsa finita. In altre parole, Facebook è destinato ad essere travolto da annunci di macchine, biscotti, film, politica, telefoni, vestiti.

 

IL MALCONTENTO DEGLI UTENTI DI FACEBOOK

Risultato? Gli utenti avvertono un disagio crescente, connettersi con la propria rete sociale non è più facile come un tempo. E nonostante Zuckerberg abbia già cercato di correre ai ripari, favorendo l’organic reach dei post degli amici e creando la funzionalità dedicata ai ricordi, il report di The Information sta lì a dimostrare che la pericolosa tendenza non si è fermata, anzi.

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Il modello di business dell’azienda – far pagare poco (anzi, nemmeno così poco) ai tantissimi a caccia di visibilità – si scontra con la mission originale dell’azienda stessa – connettere tutti. I tantissimi che pagano inonderanno di pubblicità i tutti, che a quel punto smetteranno di parlare di sé. E che magari decideranno (anzi, lo hanno già fatto) di migrare su altre piattaforme, come le tante Messaging App che ultimamente stanno dilagando.

Un bazar affollato e rumoroso non è il luogo ideale dove confessare agli amici i propri stati d’animo.

Un fenomeno testimoniato da una ricerca di Business Insider: dal 2011 al 2015 gli utenti dei 4 principali social network (FacebookTwitterInstagram e Pinterest) hanno raggiunto i 2,5 milioni, mantenendo una crescita minima ma costante. Nello stesso arco di tempo, invece, i Big-4 dell’Instant Messaging (WhatsappFacebook MessengerTelegram e Snapchat), che contavano poche centinaia di migliari di iscritti fino al 2013, sono aumentati vertiginosamente fino a raggiungere i 3 milioni nel 2015. Un sorpasso in piena regola, quindi.

 

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Per Facebook le persone (e quindi i loro dati) sono l’equivalente dei diamanti per la città di Kolmanscop. Il rischio è evidente: se il social network iniziasse a spopolarsi, tutto l’universo zuckerberghiano verrebbe scosso dalle fondamenta. Facebook ha creduto di poter tenere legate a sé le persone costruendo un ecosistema chiuso e autosufficiente, ma allo stesso tempo è venuto meno alla sua mission originale: connettere le persone.

Se Menlo Park non vuole fare la fine della città fantasma della Namibia, deve affrettarsi a trovare una soluzione.

 

@aleben9