I Due “Dittatori” Che Governano la Rete

“Dittatore” forse è un termine eccessivo applicato al web, ma rende alla perfezione l’idea. Google e Facebook sono due “dittatori” seduti su troni virtuali che regnano sulla diffusione dei contenuti in rete

Governano con pugno di ferro senza una significativa opposizione interna. Qualunque discorso sulla cosiddetta neutralità della rete è una balla. Chi produce contenuti sul web o si adatta alle norme sancite dai “dittatori” o scompare. O si adegua o svanisce. Esistono eccezioni, ma sono sacche di resistenza umana, nuclei partigiani che combattono grazie a brand riconosciuti. Chissà ancora per quanto.

I “dittatori” presidiano la circolazione dei contenuti attraverso editti insindacabili che assumono la forma di modifiche a un’entità astratta, l’algoritmo.

E se fosse ancora necessaria una ultima, e ulteriore, spiegazione di come gli editi dittatoriali siano norme imperative che non lasciano spazio a interpretazione, il caso del cosiddetto Mobilegeddon sta lì a ribadirlo. Nelle scorse settimane più volte abbiamo letto che l’algoritmo di Google sarebbe cambiato. Il “dittatore” è premuroso  e più volte aveva avvisato che dal 21 aprile 2015 avrebbe premiato o punito chi non torceva il collo di fronte al precetto e alle sue alte finalità.

E così è stato: senza tentennamenti, senza mediazioni, possibilità di ostruzionismo o concessioni. La decisione è stata presa, promulgata e resa effettiva nella data stabilita.

Oggi l’editto è pienamente in vigore. E il precetto obbliga chiunque possieda un sito internet a renderlo mobile-friendly. Che tradotto vuol dire: fai sì che questo sito sia di facile e corretta lettura da parte di uno smartphone. Se avrai fatto il bravo e avrai adempiuto all’obbligo io lo certificherò: nei risultati di ricerca su smartphone scriverò accanto al tuo indirizzo “mobile-friendly”. Se non avrai fatto il bravo, se non avrai modificato il tuo sito non certificherò nulla, anzi verrai sanzionato, come in ogni dittatura che si rispetti.

La sanzione dell’algoritmo ha cominciato da subito a produrre i suoi effetti. Da quel momento, dagli ultimi giorni di aprile, abbiamo assistito alle sue nefaste conseguenze. Chi non possiede un sito mobile-friendly ha visto crollare i propri lettori. Chi pensava di resistere ha osservato inerme una curva penosa nei dati: accessi dimezzati, utenti unici svaniti, visualizzazioni di pagine al minimo. Una condanna senza appelli.

Con i “dittatori” non esistono tribunali cui rivolgersi, difese da presentare. I “dittatori” sono tautologicamente dispotici, autoritari ed esercitano tirannicamente il potere.

L’algoritmo ha premiato chi si era adeguato nei tempi previsti, e il premio è la crescita di visitatori e di pagine viste, è la scalata verso le prime posizioni nei risultati di ricerca. A danno di tutti gli altri. A danno di chi non si è conformato agli editti.

In questi giorni, non riusciamo a vederlo a occhio nudo, ma negli anfratti del web si scorge un panorama di desolazione impressionante. Milioni di siti internet – non mobile-friendly – trasformati in breve tempo in siti fantasma, siti derelitti, abbandonati dal pubblico. Nessuno li legge più perché l’algoritmo li ha retrocessi nei risultati di ricerca. Spariscono in 10° pagina a distanza di troppi colpi di mouse. Vivono il triste destino di chi non può essere trovato perché è difficile anche solo essere cercato, utilizzando un affare che in apparenza si chiama motore di ricerca. I siti abbandonati vengono pietosamente letti dai pochi che ne ricordano l’indirizzo.

Come una infinita biblioteca di cui si perde il catalogo, o peggio, un’infinita biblioteca il cui curatore è un sadico autocrate che non fornisce a nessuno la chiave d’accesso ai testi. E scovare un libro è impresa impossibile. E solo il curatore decide chi legge cosa.

Adesso i milioni di siti derelitti devono sbrigarsi, accondiscendere alla norma, convenire col dittatore che le sue decisioni sono sagge e giuste, e tengono conto che le persone si connettono sempre più da smartphone e sempre meno da pc. I derelitti devono ammettere che è saggio e giusto trasformarsi in mobile-friendly. Come è stato rettamente spiegato da un aedo inconsapevole: “la modifica era a favore dei brand, non a loro sfavore: io ti minaccio così che tu ti renda conto che nel 2015 avere un sito responsive non è una virtù ma la norma. Chi lo capisce, viene doppiamente premiato. Chi non lo capisce, viene doppiamente penalizzato”.

Tutti devono chinare il capo anche se detestano il dittatore, perché è lui che decide. Quel potere gliel’abbiamo consegnato noi tutti: gliel’hanno consegnato gli stessi derelitti e quelli che si sono adeguati, gli entusiasti e i critici, i privati cittadini e le imprese, i governi e pirati, i grandi gruppi editoriali e i piccoli blogger. Utilizzando l’algoritmo ogni giorno, sfruttando l’enorme e silenziosa potenza di calcolo, ogni minuto, ogni frazione di secondo per le loro ricerche. E il dittatore in questo lasso di tempo ha fatto il proprio interesse; e l’interesse è solido, monopolistico, tangibile: denaro e posizione dominante, l’uno funzione dell’altra.

Negli stessi giorni l’altro tiranno ha deciso col proprio algoritmo che nei nostri rulli sociali, le time line, avremmo visto più amici che pagine, avremmo letto più status sull’amore che post di aziende. Più poesie e foto di feste coi bicchieri di carta che notizie o offerte commerciali.

Talvolta svanisce qualcuno. Sparisce un sito, un forum, un giornale, il catalogo di un’azienda e quindi idee, valore, lavoro.

Ogni qual volta che loro decidono che noi non dobbiamo più leggere un contenuto e non possiamo più navigare in un sito, perdiamo qualcosa. Perdiamo denaro, informazioni, notizie. Per tornarne in possesso è sufficiente adeguarsi o pagare.

Non c’è molto da dire sui “dittatori”: la parola è forte, eccessiva, ma lo ripetiamo rende l’idea. Una porzione di mondo vive fuori dalla rete. Quella che sta dentro è in catene e non può farci nulla se non adeguarsi all’algoritmo.

Oppure, talvolta, usare l’intelligenza per aggirarlo.

di Nicola Zamperini

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