HowAboutWe: i giornalisti si rifugiano nel brand journalism
L’industria giornalistica tradizionale, da qualunque prospettiva la si guardi, non sta vivendo uno dei suoi momenti più floridi, per usare un eufemismo. Ma si può continuare a raccontare storie per mestiere, anche nel tempo della crisi dell’editoria? Beh, la risposta è sì, si può fare. Molti professionisti dell’informazione lo stanno facendo passando dal giornalismo tradizionale al brand journalism.
Melissa Lafsky Wall lavorava come editor all’edizione iPad di Newsweek, ma appena la rivista ha iniziato a licenziare giornalisti dall’edizione cartacea ha deciso di buttarsi in una avventura. È diventata la responsabile dei contenuti di HowAboutWe, una startup che si occupa di incontri con un blog dedicato a relazioni e corteggiamento.
Gli articoli che la Lafsky produce per HowAboutWe non hanno nulla da invidiare a quelli scritti da colleghe che scrivono per testate tradizionali. Sono ben documentati, ben scritti ed interessanti, con argomenti che spaziano da celebrità a cultura, passando per consigli su come non far fallire il proprio matrimonio. Niente, comunque, che nomini direttamente il brand, semplice sponsor di storie che puntano ad incontrare i gusti del pubblico.
“Lavorare in un settore in crescita è fantastico”, ha dichiarato la Lafsky al New York Observer, “e lo è anche avere un budget per pagare i corrispondenti“. Due motivi che hanno spinto molti giornalisti americani a saltare il recinto. Come Michelle Kessler, passata da Usa Today a Qualcomm’s Spark: “Facciamo riunioni editoriali ogni giorno: funzioniamo proprio come una redazione“.
A contribuire all’esodo di professionisti dell’informazione verso il brand journalism è stato anche Contently, una sorta di Linkedin per giornalisti. Fondato da John Hazard, ha dato la possibilità alle aziende di trovare il personale per iniziare esperienze che integrassero il content marketing con il giornalismo tradizionale. Un’altra chiave per attrarre verso il brand journalism i giornalisti tradizionali è che i blog di azienda funzionano e sono concepiti proprio come magazine online. Negli Stati Uniti ne nasce quasi uno al giorno. C’è Urban Outfitters, brand di abbigliamento che ha un sito dedicato al lifestyle femminile, e Degree, una marca di deodoranti che cura un blog che si occupa di sport estremi, gadgets e avventure fuori porta.
E sta cadendo anche il pregiudizio secondo cui il giornalista che lavora per un’azienda non editoriale sia un professionista, per così dire, di serie B. Del resto, scrivere un contenuto solo sponsorizzato da un brand, ma che non parla direttamente di questo, non è molto dissimile dal lavorare per un magazine che deve stare attento a non disturbare gli inserzionisti.