Facebook Journalism Project: dittatura o fumo negli occhi?

di Ludovica Angelini

“Ascoltare le esigenze degli editori e migliorare i formati dello storytelling”, sono questi i punti di forza del Facebook Journalism Poject. L’ha proclamato il colosso di Menlo Park, in una nota sul blog dell’azienda.

Più che una lista di “buoni propositi” per l’anno nuovo, il progetto sembra il tentativo di scagionarsi dalle recenti accuse di manipolazione delle masse, che avrebbe portato alla vittoria di Trump, alle elezioni americane. Quello che Facebook sta provando a fare è un vero patto di sangue con i più grandi dell’industria delle news. Potrebbe essere un altro passo di Mark Zuckerberg verso la trasformazione del social da mezzo di fruizione a dittatore della notizia? Noi non la vediamo così apocalittica.

 

FACEBOOK JOURNALISM PROJECT: “SODALIZIO CON L’INDUSTRIA DELLE NEWS”

Quello che Facebook dichiara di voler fare, con il Journalism Project, è istaurare un legame stretto con gli editori delle grandi testate giornalistiche. “Ascoltare gli editori, rispondere alle loro richieste e migliorare la fruizione della notizia, attraverso lo sviluppo di nuovi formati di storytelling come lo sono Live, 360 e Instant Articles” spiega Fidji Simo, direttore del prodotto, che ha firmato il comunicato.

Tre sono i punti fondamentali del progetto:

  • collaborazione con le testate giornalistiche;
  • offerta di training e tool per i giornalisti;
  • strumenti per scovare le bufale.

Gli intenti sembrano nobili, il modus operando in po’ meno. Più che una collaborazione, il Journalism Project sembra un corso per insegnare ai giornalisti come fare meglio il loro mestiere. A breve, questione di mesi, il Social Network inizierà a educare i giornalisti alla creazione di notizie “pronte” per entrare nel News Feed. Da Menlo Park partiranno una serie di corsi e-learning per adeguare chi scrive all’utilizzo dei vari prodotti del social, e quindi alla creazione di news adatte agli utenti.

Uno di questi prodotti è CrowdTangle, da poco acquisito dall’azienda californiana, che verrà offerto agli editori partner del progetto. Questo strumento, fonte d’ispirazione per molti editori tra cui il New York Times, permette di monitorare i trends e gli influencer del momento sul Web.

Ultimo punto del Facebook Journalism Project è, come già stato annunciato qualche settimana fa, il tasto che permetterà all’utente medio di poter segnalare le fake news.

Gli editori e il social network si stringeranno una mano, anche economica. Basti pensare che da Menlo Park hanno disposto fondi per sponsorizzare eventi indirizzati ai professionisti della comunicazione, come il prossimo Digital Content Next e il Festival del Giornalismo di Perugia.

 

FACEBOOK, DITTATORE DELLA NOTIZIA…

La versione a lungo termine è quella che vede il colosso di Menlo Park come futuro unico mezzo che potrà fare notizia. Il messaggio del progetto giornalistico è uno: promuovere la formazione di quei (pochi) editori che vorranno sottoscrivere questo patto di sangue. I giornalisti dovranno adeguarsi alla creazione di news, in base a quello che i tool monitorano, che dovrebbe corrispondere con quello che gli utenti vogliono leggere.

Ricapitolando: Facebook decide cosa è importante, seleziona chi lo racconta e impone le grammatiche dello stesso racconto. Un dittatore, appunto, né più né meno. Una tirannia che si estenderebbe dai ricavati della pubblicità online (che The Social si spartisce con Google) agli stessi contenuti. C’è da chiedersi se è una mossa conveniente per l’azienda di Menlo Park. La risposta ci sembra negativa.

 

…O È SOLO FUMO NEGLI OCCHI

Se fosse compiuto tutto il programma del Facebook Journalism Project, così per come è stato descritto, il social cambierebbe la propria natura, mettendo a rischio un modello che è risultato vincente, soprattutto per le tasche del giovane Mark. Il modello in questione prevede che Facebook sia il mezzo, la piattaforma dentro il quale “gira” il mondo virtuale, fatto non solo di gattini, ma anche di notizie, guarda caso uno degli elementi più condivisi in rete.

Molto più realisticamente, il progetto è solo un modo per sciogliere le accuse lanciate da quella fetta di americani sconfitti da Trump e la “selezione” dei giornalisti, e in generale di tutti i produttori di contenuti, sarà meno rigida di quanto annunciato.

Di sicuro, a Menlo Park sono consapevoli che è importante disinnescare la bomba mediatica che ha condannato il social network come “colpevole” di aver fatto vincere la destra cattiva. Le “news”, fake o meno, non sono davvero il male, economicamente parlando, per Facebook. Strozzarle all’origine sarebbe veramente poco redditizio. Perché, è utile ricordarlo, ancor prima che un mezzo, ancor prima che un’università di giornalismo, quella di Menlo Park è, appunto, un’azienda.