Tra fake news e SEO: tutte le sfide del web journalism

di Maria Scopece

Da circa una quindicina d’anni il mondo del giornalismo si sta interrogando su quale potrebbe essere il suo futuro. I tempi della riflessione, però, sono più lunghi di quelli dell’azione e così il futuro è diventato presente. Questo non sarebbe neanche un problema fondamentale se non fosse che all’interno delle redazioni il tempo è diventata una risorsa sempre più scarsa. La scrittura degli articoli occupa, percentualmente, ancora una posizione dominante rispetto al tempo speso per la loro realizzazione ma scrivere non basta. Occorre fare fact checking, socializzare il pezzo scegliendo il linguaggio più adatto in base al social, arricchire il pezzo con elementi visuali e dati che lo rendano il più comprensibile ed immediato possibile, creare contenuti di supporto alla divulgazione del pezzo come brevi video o infografiche. Mentre nelle redazioni il tempo scarseggia per chi riflette anche il futuro sta diventando passato.

BUGIA O VERITÀ? CHIEDETE AL MINVER

La parola simbolo del 2016 è “post verità”. Con questo termine si intende quella tendenza, diffusa ormai in maniera capillare, a far passare per vero ciò che è falso grazie all’antica arte della ridondanza. La scarsità di tempo sia dei giornalisti che dei lettori aiutano la diffusione delle fake news. Da un lato la mole di lavoro e la necessità di battere più notizie non consente agli addetti ai lavori di fare le dovute verifiche e di operare uno scrupoloso fact checking. Dall’altro la lettura svogliata, la soglia di attenzione di soli 8 secondi e la difficoltà di rispondere positivamente a tutti gli stimoli informativi che ci giungono dal nostro smartphone non fanno, spesso, attivare quelle antenne che devono farci porre in maniera sospettosa nei confronti dei contenuti con i quali ci confrontiamo. Il fatto che questo sia diventato uno dei temi del giornalismo dei nostri tempi sarà un bene solo se questo ci renderà più consapevoli di quello che leggiamo, sarà un disastro se avrà come esito di buttare via il bambino insieme all’acqua sporca.

NB. Il MinVer è Ministero della Verità di “1984”, deputato alla propaganda di Regime

È PIÙ POTENTE IL SEO O LA PIETRA FILOSOFALE?

Scrivere per Google o per il lettore? La risposta è: per entrambi. O meglio scrivere in modo che Google riesca a riconoscerti ma trattare argomenti che possano interessare il lettore. Fare una preliminare ricerca sulle parole chiave, scegliere frasi corte, dividere il pezzo in più paragrafi e sottoparagrafi, dosare sapientemente l’uso del grassetto aiuta Google a individuare i contenuti più leggibili e a spingerli in alto nei risultati delle ricerche.

SOLO 8 SECONDI PER GHERMIRLI

I giornalisti o chi deve confrontarsi con i contenuti per il web deve fare i conti con questa tempistica: 8 secondi. A tanto ammonterebbe il livello massimo di attenzione che gli uomini riescono a dedicare agli articoli online. Secondo uno studio di Microsoft del 2013 l’attenzione umana sta gradualmente calando, 13 anni fa, ad esempio, ammontava a 12 secondi. Dal 2000 ad oggi, dunque, abbiamo perso 4 secondi. Per catturare il lettore e non lasciarlo fluire verso un altro contenuto sul quale si poserà lo spazio di un caffè, sono quindi necessarie delle contromisure. Una di queste, la più antica di tutte, è lo storytelling. L’antica arte di raccontare una storia avvincente si trasforma sulle pagine online nella capacità di scrivere contenuti conferendo loro un plot narrativo per tenere agganciata l’attenzione del lettore. Un altro aspetto cui fare attenzione è la tempestività o meglio l’attualità di una notizia. La ridondanza non sembra essere un grosso problema, anzi parlare di ciò di cui parlano tutti può aiutare a infilarsi in un flusso di conversazioni e non richiede al lettore un grosso sforzo intellettivo. L’alta faccia di questa medaglia è proporre contenuti evergreen, completamente slegati dall’attualità per poter essere fruiti nel corso del tempo. L’esempio più calzante sono i pezzi “How to do”.

“TROPPO” È SOLO QUEL CHE NON SI AMA

La schizofrenia della nostra era post moderna consente di scrivere all’interno di uno stesso articolo (questo) che il tempo massimo di attenzione ammonta a 8 secondi e che stanno tornando in auge gli articoli molto lunghi, che contengono anche più di 1000 parole. Secondo uno studio condotto da Quartz, un web magazine che si occupa di attualità e new media, gli articoli che hanno la minor chance di essere letti sono quelli che contengono dalle 500 alle 800 parole. Questo vuol dire che l’utenza del web non ama le mezze misure: o pezzi brevi, avvincenti ma con poche informazioni e che vadano subito al sodo o pezzi lunghi, anche molto lunghi, che approfondiscano e facciano analisi. Certo per rendere fruibile un articolo corposo è necessario segmentarlo, utilizzare paragrafi e sotto paragrafi, preferire i punti elenco, fare un uso accorto della punteggiatura e dei grassetti. Semplificare un contenuto complesso, una sfida non banale ma che a quanto pare è foriera di soddisfazioni.


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