Jeff Jarvis e quell’errore sul brand journalism

di Francesco Marino e Nicola Zamperini

“Ribelliamoci tutti insieme e rifiutiamo una volta per tutte la nozione eretica, ossimorica e pericolosa di brand journalism”. A parlare è il guru statunitense Jeff Jarvis, giornalista specializzato sul mondo dei media e professore alla scuola di giornalismo di New York.

Un attacco frontale al giornalismo ‘brandizzato’, nell’ambito di una più ampia discussione, in un lungo post su Facebook, sul futuro della pubblicità. I media, secondo Jarvis, dovrebbero selezionare gli ads all’ingresso, puntando sulla qualità e sulla distinzione netta tra prodotto giornalistico e spot. Un ragionamento che porta alla frase con cui abbiamo cominciato questa riflessione.

“Ribelliamoci al brand journalism”.

Chiariamo. La riflessione di Jeff Jarvis ha svariati punti di interesse. Ma quando tocca il tema del brand journalism, il professore statunitense ‘toppa’ clamorosamente. Sì perché confonde, di fatto, il brand journalism con la pubblicità.

Quando, invece, si tratta di un’evoluzione dell’ufficio stampa che, con l’advertising, diciamoci la verità, non ha mai avuto nulla a che fare.

Chi segue quanto scriviamo da qualche anno su queste pagine sa bene che, con il brand journalism, non si invita all’acquisto di prodotti. Si crea un mondo intorno a un marchio, un universo valoriale che può orientare nella scelta, ma che non ha l’obiettivo della ‘conversione’.

Che sia un problema di deontologia?

Se si tocca il tema dell’etica dei giornalisti, ampiamente discusso negli States, la risposta è semplice. Al brand journalism si deve adattare una massima detta da Tony Burman, ex direttore di Cbc News e The Globe and Mail: “Ogni testata ha solo la sua credibilità e reputazione su cui fare affidamento”.

Comportarsi in maniera poco etica, per un’azienda che punta su contenuti editoriali e su magazine brandizzati, non ha senso. Il rapporto è chiaro, trasparente, definito.

Così come ha poco senso ignorare e demonizzare una forma di comunicazione che poco o niente ha a che vedere con la pubblicità. I criteri sono gli stessi dell’ufficio stampa: raccontare un’azienda al di là della promozione spicciola.

È bene chiarirlo, anche se un guru come Jarvis dovrebbe saperlo: il problema del giornalismo non è il brand journalism.