New York Times, la rivoluzione del native advertising

Dall’8 gennaio, il sito del New York Times non sarà più lo stesso. Nuova veste grafica, maggiore velocità di caricamento, ma non solo. La più grande rivoluzione riguarderà l’introduzione definitiva del native advertising. Niente più banner, dunque. Ma contenuti, assimilabili a veri e propri articoli, che si confonderanno con i pezzi del giornale, ma saranno identificabili grazie a una barra blu e alla dicitura “Paid post”.

“Si tratta – ha spiegato l’editore del Times, Arthur Sulzberger – di una strategia necessaria per aumentare le entrate pubblicitarie. Naturalmente, ci sarà sempre una separazione tra il lavoro della redazione e i contenuti creati per la pubblicità”. Una scelta importante, quella del New York Times. Fondamentale per oltrepassare lo stallo in cui si trova la pubblicità online come viene normalmente intesa. Agli utenti, infatti, i banner sembrano non piacere per niente. Secondo una ricerca statunitense, se ne clicca uno ogni mille. Una cifra che giustifica la volontà di trovare strade alternative.

Il primo cliente del New York Times è Dell, una delle più famose aziende informatiche al mondo. Il debutto della compagnia statunitense sulle pagine dell’Nyt è arrivato con un articolo a firma di Michael Keller sulle strategie future del governo americano. La distinzione con gli articoli prodotti dalla testata, come potete vedere dalla foto qui sotto, è evidente.

La via del native advertising, del resto, sembra fruttuosa. Basta pensare ad un paio di esempi interessanti. Il primo è quello di Forbes, che ottiene il 20 per cento dei ricavi totali, sia del cartaceo che dell’online, dai contenuti sponsorizzati. Il magazine americano ha creato BrandVoice che consente alle aziende di pubblicare i propri articoli su Forbes.com.

Altro esempio virtuoso, in questo senso, è quello di BuzzFeed. Il portale delle notizie sui gattini non ha mai utilizzato i banner. “I brand – ha spiegato Jonah Peretti, fondatore del sito, in un’intervista a Wired Uk – hanno una voce in rete come chiunque altro. Stiamo tornando all’era Mad Men, quando il lavoro dei pubblicitari era aiutare i marchi a raccontare storie. L’obiettivo di BuzzFeed è aiutare le aziende a creare narrazioni autentiche e coinvolgenti”. E quale posto migliore di una testata da 130 milioni di visitatori unici nel solo mese di dicembre?

Il punto della questione, per le aziende, è questo. Crearsi una voce online attraverso un blog, o un magazine, è una strada che può portare a risultati importanti. Ma è difficile da intraprendere. Si può, dunque, sacrificare un po’ di “unicità” agganciandosi alla fama e alla reputazione di testate giornalistiche come il New York Times.

L’esperimento di uno dei quotidiani più famosi e autorevoli al mondo rivelerà molto sulle potenzialità di questa forma di pubblicità. La scommessa, almeno sulla carta e visti i precedenti, sembra di quelle a quota bassa. La differenza la faranno la selezione dei contenuti da inserire e la separazione tra questi e gli articoli della redazione. Sarà determinante, per il NYT, non perdere la fiducia dei propri lettori, non dare l’impressione di stare (s)vendendosi. Superato questo scoglio, la strada può essere solo in discesa.

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