Il brand sparisce, anzi no: il caso Finmeccanica-AgustaWestland

di Francesco Marino

Prima c’era FCA, ora c’è FNM, domani chissà. L’era degli acronimi delle newco è una moda che non nasce di certo oggi. Dopo la fusione multimiliardaria tra Fiat e Chrysler (FCA, appunto), dal 1° gennaio 2016 è arrivata un’altra massiccia operazione di rebranding con protagonista un’altra storica azienda italiana.

Da qualche ora, lo storico costruttore di elicotteri AgustaWestland (che prima della fusione con la casa britannica del 2000 era noto, anzi stranoto, semplicemente come Agusta) è diventato Finmeccanica Helicopters Sector.

FINMECCANICA E LA “ONE COMPANY”

Il cambiamento era stato annunciato da mesi, dalla ristrutturazione cercata e voluta dal CEO Mauro Moretti nel 2014 e implementata a partire dalla metà del 2015 con la campagna “One Company”.

Ma non è stata una transizione semplice.

A onor del vero, difficilmente poteva esserlo, Non poteva perché oltre al costruttore erano e restano coinvolte nell’operazione altre aziende (qualche nome: Alenia Aermacchi, Selex ES, OTO Melara e WASS) attive su un range di ben nove segmenti di mercato, con prodotti e servizi radicalmente differenti tra loro.

Non poteva per via del riposizionamento, sia fisico che strategico diciamo così, di una serie di delicati equilibri industriali.

Non poteva perché è contestualmente in atto anche l’accentramento di diversi uffici, tra cui quelli stampa e comunicazione.

E non sarà facile neanche nei prossimi mesi. Possiamo definirla un’operazione titanica che, vista da fuori, è tutta in capo alla holding di piazza Monte Grappa.

AGUSTAWESTLAND SCOMPARE (ANZI NO)

Lo sbarco nel 2016, sul piano della comunicazione, è stato traumatico su diversi fronti. Molti, tra gli osservatori del settore, si aspettavano una confusione simile a quella affrontata ormai due anni fa con il rebranding del costruttore rivale Eurocopter (già Aerospatiale), passato sotto l’egida dell’EADS e poi ribattezzato Airbus Helicopters.

Per AgustaWestland le cose sono andate diversamente.

Per buona pace della SEO, dal 1° gennaio 2016 il sito ufficiale www.agustawestland.com è improvvisamente scomparso in favore di una splash page che indirizza direttamente al portale Finmeccanica. Per l’occasione il sito ha subito un importante lifting (sull’estetica non ci pronunciamo), ma ha perso per strada – per il momento – una importante fetta di contenuti che saranno probabilmente reinseriti sul nuovo portale nelle prossime settimane.

La questione Facebook era già stata archiviata da tempo: Finmeccanica e AgustaWestland non sono mai state presenti in via ufficiale sul social network più diffuso.

La transizione del profilo Twitter è assai significativa. La scelta iniziale di passare dall’user ID @AgustaWestland a @Finmeccanica-Helicopters è stata abortita per ovvi motivi (il limite imposto è di 15 caratteri per le user ID e 20 caratteri per gli account title), e il compromesso adottato non aiuta nessuno: al momento l’account title è stato cambiato in un inedito quanto ambiguo FNM Helicopters, accompagnato dall’user ID @AgustaWestland.

Si tratta di un mix di informazioni che racconta davvero poco sull’identità di un brand che ha praticamente gli stessi anni di internet, almeno nella sua ultima forma adottata a seguito dell’accorpamento della britannica Westland Helicopters nel 2000. In difesa dei vertici del colosso industriale italiano c’è da dire che l’adozione dell’acronimo era un’operazione necessaria per accompagnare favorevolmente il cambiamento del codice di Finmeccanica sui mercati finanziari (FNM), ma alcuni quesiti restano.

La “nuova” Finmeccanica Helicopters, hanno assicurato da Samarate, manterrà almeno la dicitura AW per i nomi degli elicotteri, come per il più famoso AW109.

BENE OFFLINE, I PROBLEMI SONO TUTTI ONLINE

A conti fatti si possono trarre alcune considerazioni:

  • nel mondo dell’ala rotante, tra manifestazioni di settore, festival, qualche roadshow e campagne sulla stampa cartacea, nel giro di un paio di anni il concetto che Agusta è diventata Finmeccanica Helicopters passerà;
  • sul web le difficoltà sono enormi, ci vorrà molto più tempo; tra social dai nomi anodini e contenuti indicizzati da Google ormai andati persi ,immaginiamo che a piazza Monte Grappa suderanno non poco a scalare posizioni, rank e piazzare link buoni (l’operazione di rilancio di tutto il brand Finmeccanica messo in campo da Moretti, e dalla sua squadra, Federico Fabretti in primis, non sembra un’operazione facile e si capisce che il lavoro che si sta facendo è un lavoro che parte dalle fondamenta).

La rete è diventata fin dalla sua nascita territorio di appassionati dell’aeronautica. Luogo di condivisioni di fotografie, di contest di eccezionale qualità , di community e forum di esperti non professionali. Planespotter, avporn, heliporn, basta sfogliare gli hashtag di Instagram (che da solo vale 400milioni di utenti attivi, 80milioni in più di Twitter che tanto piace ai giornalisti) per rendersene conto.

Ciò significa che Agusta o Finmeccanica Helicopters devono considerare pure questo come pubblico di riferimento. Una percentuale irrisoria degli appassionati in rete compra elicotteri dopo averne letto su internet, i signori del petrolio fanno scelte che prescindono dal page rank di Google, i ricchi non cercano allestimenti per il trasporto VIP sui social ma il valore di un brand è la risultante di molte cose, alcune anche emotive. Gli acquirenti di Ferrari e di elicotteri, per capirci, stanno sullo stesso piano.

Ma se è difficile che i piloti, i meccanici, gli studenti degli istituti aeronautici, gli appassionati, gli ingegneri, i tecnici, gli operatori dell’indotto comprino un elicottero, di una cosa siamo certi: costoro contribuiranno al posizionamento del brand Agusta o Finmeccanica-Helicopters più di qualunque altro operatore di leasing dall’ordinativo di macchine volanti facile.

Una questione nodale rimane quindi appesa: bisognerebbe capire (e trasmettere, soprattutto) che AgustaWestland non è solo un costruttore di elicotteri. Agusta è un brand, è parte della storia economica del paese ed è, per questo, un patrimonio industriale italiano.

Siamo sicuri che per valorizzarlo ci sia bisogno di (soc)chiuderlo in un cassetto?